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Giusy Laganà

Maleuforia - di Deborah D'Addetta,la metamoforsi e le peregrinazioni sfrenate di Lèmon, eroe prima e eroina dopo, romantica a tutti gli effetti

"Le puttane erano dappertutto: mi nascondevo dietro carcasse di auto, osservando i loro visi truccati, le cosce nude, i reggiseni di pizzo in bella vista, le chiome corte, lunghe, ricce, lisce, decolorate, persine parrucche e tacchi dalle altezze Impossibili"

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Dove si nasconde la bellezza di un libro? Nello stile, per molti. Nei colpi di scena e nel potere di intrattenimento, per altri. Per me, nella capacità di far evolvere i personaggi in modo che possano esprimere i loro conflitti interiori in tutta la loro evoluzione. É il caso di Lèmon, prima Raffaele De Palma, che fin dai primi anni della sua vita si ribella alla sua natura imposta per diventare quello che sente di essere nelle viscere. E' una donna nel corpo di un uomo di Ponte Rossi, orfano, solo, abbandonato e frenato. Raffaele vuole trasformarsi e, la sua metamorfosi, comincia lasciando la casa della nonna autoritaria e la sorellina Imma di cinque anni. Segue Maria, la sua mentore, la prostituta verso cui prova sentimenti sconfinati e che spia, studia, ama, nel bordello di Donna Sofia a Porta Capuana. Qui, conosce Linda, Cleo, Pipú che le insegnano a "fare la vita" e a diventare donna, con una vera e propria educazione sentimentale alla Flaubert, controversa e corporea fatta di trucchi, parrucche, clisteri, vasellina e abiti succinti.

"Le mie peregrinazioni sfrenate: cercavo persone come me, luoghi in cui adattarmi, ma trovai solo una città d'oltretomba che fuori dal recinto di Ponti Rossi non sapeva darmi risposte, solo altre pene", ma Lèmon é diverso, non é solo questo, è molto di più. E' cultura, arte, letteratura, metamorfosi. La sua profonda umanità tocca gli animi cinici tanto da farlo diventare pericoloso.


"Maleuforia é malafemmina, malacrianza, malaparata, malarazza, malacarne, malalengua, malaciorta, malacqua, malommo.É tutte quelle cose che sembrano trascinare il male e la tristezza e la nostalgia, ma che nel fondo fangoso della loro natura lasciano intravedere la grazia, l'incanto, la perfezione delle cose incompiute"


Poi spicca il volo, diventa donna, diventa Lèmon a tutti gli effetti. Allontanata dal bordello di Donna Sofia, arriva dal Cavaliere, uomo ricco e molto influente. Qui, lei, inizia un vero e proprio percorso che fa di questo libro un vero e proprio romanzo di formazione. Potrebbe avere una vita agiata e borghese nella villa bianca, ma Lèmon si ribella ai dettami dell'alta società che usa solo per i suoi capricci. Le vuole osare di più. Vuole essere una donna, anche sotto gli abiti. Va avanti nella sua disperata affermazione della sua identità. Studia, legge, si appassiona, impara. Ma la maleuforia la caratterizza, é parte di lei.

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Con un misto di italiano e dialetto napoletano, prendendo a modello il linguaggio spigoloso di Peppe Lanzetta e la poetica di Giuseppe Patroni Griffi, si cala nella Napoli crepuscolare per raccontarne le ombre, il turbamento, le passioni nascoste. Deborah D'Addetta ci porta dentro un mondo di prostitute e femminielli per accarezzare la Maleuforia, quel sentimento che sublima l'incompleto, il non consumato, l'incompiuto, l'irragiungibile. Perché Lèmon vuole essere una donna e per riuscirci é disposto a qualsiasi prezzo. La sua forza consiste nella non accettazione di tutti gli ostacoli che si presentano sulla sua strada che potrebbe saltare agilmente e che, invece, vuole far esplodere. Lotta per essere riconosciuto e, come un eroe romantico di altri tempi, vola lontano.


Maleuforia ricorda un altro romanzo di formazione, Uvaspina di Monica Acito. Sia per la scelta linguistica, sia per le sfumature del personaggio protagonista e sia perché entrambi hanno il nome di un frutto spremuto e da spremere di continuo per far uscire anche l'ultima goccia del suo succo. Anche Uvaspina porta addosso una croce. La sua inizia con il piccolo neo sotto l'occhio e continua con il suo silenzio non sfiorato. Come Lèmon, é diverso dagli altri. E' silenzioso, riflessivo, introspettivo. L'unica amica é la sorella Minuccia (anche qui una sorella) più piccola ma tanto caparbia da rendergli la vita difficile e tumultuosa. Lei é tutto quello che lui non può essere a partire dalla sua libertà. Uvaspina sa benissimo di essere diverso, non é come gli altri maschi della sua età e anche quando ci prova, finisce per obbligarsi a non provare quel disgusto che lo nausea ancora di più.


Le passioni e la complessità della famiglia di Uvaspina, come nella vita di Lèmon, sono connesse a quelle della loro città: Napoli.

Il corpo di una Napoli dolente dove il mare lava ogni cosa e digerisce i pesci più brutti come le meduse più velenose. L'acqua che uccide, l'acqua che restituisce la vita, anche se mischiata col piombo nel gioco del chiummo. In una storia che lascia senza fiato, Uvaspina e Minuccia raccontano, canzonati dalle tragedie del mercoledì sera della "Spaiata", il folklore delle loro esistenze spaccate e obbligate a stare incollate dal girare vorticoso dello strummolo.


Come in Uvaspina, anche in Maleuforia di Deborah D'Addetta, ti innamori, pagina dopo pagina, del ruggito di questa storia dove il Vesuvio sembra sgocciolare fuoco che arriva sulla pelle come sangue, quello di un amore, quello della carne, che semina distruzione, dolore, ingiustizia. Annichilisce e rende inermi il racconto di queste vite così difficili e al tempo stesso così maestose.

Deborah D'Addetta è nata in Puglia nel 1986, vive a Napoli. Fa parte del collettivo «Spaghetti Writers» per cui scrive racconti ed è redattrice, recensisce libri per «Critica Letteraria» ed è contributor di varie testate tra cui «Italy Segreta», «Mar dei Sargassi», «City News – Napoli Today». Molti suoi racconti e scritti di natura saggistica sono stati pubblicati su riviste letterarie. Autrice di Rivista Blam! (La camera 101) e vincitrice del premio letterario L’Avvelenata 2021 con il racconto Kitöltest, D’Addetta esordisce con Maleuforia.


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